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09 aprile 2025

©un minuto


Era Febbraio e come oggi un giorno particolarmente freddo-umido e, quell'umidità, penetrava nelle ossa senza che la lana che copriva il corpo riuscisse a tenere lontano il gelo.

Il respiro caldo sembrava cristallizzarsi a contatto con l'aria gelida, il freddo e la stanchezza rendevano il passo più lento di quanto fosse nell'intenzione.

Le notti erano lunghe ore senza sonno per quel pianto disperato che squarciava il silenzio della notte, così trascorrevamo la notte in poltrona avvolte in coperte che non riuscivano a placare il gelo che l'avvolgeva per quei mostri che disturbavano il suo sonno di bimba: non riusciva a spiegare a raccontare perché erano déjà-vu di frammenti di ricordi in quel letto d'ospedale tra la vita e la morte.

Si accoccolava tra le mie braccia e stringeva forte, tra le sue piccole manine, il maglione o la felpa che indossavo per paura che se il sonno avesse vinto la sua volontà di star sveglia non potessi rimetterla nel suo lettino.
Così notte, dopo notte.

Ero sfinita, i mesi passavano e il sonno cominciava ad essere un miraggio lontano che consumava lentamente entrambe e per quanto razionalmente sapevo che col tempo gli incubi causati dalla malattia sarebbero passati, le energie erano agli sgoccioli e i pericoli che questo comportava erano così tanti da terrorizzarmi.

Con questi pensieri molesti quella mattina nonostante il freddo, la stanchezza ci siamo vestite tra facce buffe, piccole storie e canzoncine per una passeggiata lenta verso quei giochi freddi in un paesaggio surreale e lunare.

Gli alberi del parco erano ancora spruzzati di brina come un quadro a gessetto su cartoncino nero e per un attimo tutto sembrò assurdo, complicato, difficile.

Mi sentivo inadeguata ad aiutare mia figlia a distruggere quei mostri che la tormentavano, che non capiva, e la mancanza di sonno non aiutava né lei, né me.

Il rumore di una macchina mi distrasse riportandomi alla realtà.

Eravate Voi e il silenzio si trasformò in caos con la bimba che rideva ed io che vi guardavo senza riuscire a dire nulla.

Quattro donne adulte con nasi da pagliaccio, cappelli buffi e parrucche improbabili che ballavano davanti al passeggino cantando filastrocche facendo facce buffe.

Ancora oggi non so come tornammo a casa, so solo che una volta entrate nel tepore della tana con autorità fui costretta ad andare a riposare mentre Voi prendevate possesso della casa dividendovi i compiti: chi giocava con la bimba, chi faceva da mangiare, chi stendeva il bucato rendendo quei lavori motivo di sorrisi e burle.

Ancora oggi se ci ripenso mi torna in mente l'ultimo suono che sentii prima di scivolare finalmente nel sonno ristoratore: le risa di mia figlia di poco più di un anno e il battito delle sue mani nel girotondo che le "zie" pagliaccio facevano con lei.

Oggi quella bimba è diventata una splendida Donna di trent'anni che non ricorda quel terribile periodo ma ancora quando è stanca o ha qualche difficoltà si stringe come allora ed io penso che è il più bel dono che la vita mi abbia dato e Voi, Voi che non ci siete più mi avete permesso nel periodo più difficile della mia vita di restare lucida e non cadere nella disperazione o nell'irrazionale.

Sax, avrei voluto farti vedere la sua reazione quando sente un sax glissare le note e seppur quel periodo per lei è nascosto nella profondità quel sax ancora oggi la fa sorridere.

Ancora oggi mi chiedo cosa sarebbe potuto succedere senza di te e quelle pazze zie, quindi ovunque Voi siate grazie e per un attimo voglio credere a ciò che dicono che le persone non muoiono mai veramente e se è così sappi che vi cercherò e sono sicura che vi troverò mie pazze amiche.

O si!

©Lughe

(nota a margine la foto è dal sito del film Parch Adams)


Sax: Charlie Parker

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